COSTI E DIRITTO AL RIPRISTINO

Pubblicato il: 19.08.2021 | Diritto privato | Avv. Michele Bernasconi

Il diritto di appalto è caratterizzato, a differenza ad esempio del regime legale vigente in tema di compravendita, dal principio della riparazione gratuita dell’opera.
L’appaltatore, se confrontato a una tempestiva segnalazione di difettosità dell’opera da parte del committente, è di regola chiamato, previa richiesta in tal senso, a eliminare a proprie spese – e quindi gratuitamente – il difetto notificatogli. Il diritto del committente alla riparazione gratuita dell’opera difettosa non è però incondizionato.
Esso presuppone anzitutto, secondo logica, che l’opera risulti ancora, nonostante la sua difettosità, oggettivamente servibile e ragionevolmente accettabile per il committente. In caso contrario, infatti, è lecito presumere che il committente ne rifiuterebbe la consegna contro restituzione del prezzo corrisposto avanzando al contempo, a seconda delle circostanze, delle richieste risarcitorie nei confronti dell’appaltatore.
Il diritto alla riparazione è inoltre subordinato a due ulteriori condizioni: la riparazione deve essere oggettivamente possibile e non deve procurare all’appaltatore delle spese esorbitanti (art. 368 cpv. 2 CO). Quest’ultimo presupposto è di particolare rilevanza per l’appaltatore, siccome la riparazione gratuita dell’opera può rivelarsi, a seconda delle circostanze, addirittura più co-stosa della sua stessa realizzazione. È quindi precipuo interesse dell’appaltatore conoscere le condizioni che gli permettano di lecitamente rifiutare un’eventuale richiesta di riparazione in garanzia sottopostagli dal committente.
In una sentenza di recente pubblicazione (TF 4A_78/2020 del 6 agosto 2020), il Tribunale fe-derale si è approfonditamente chinato sul tema, precisandone i contorni.
Nel caso in discussione, il committente dell’opera aveva in prima battuta richiesto all’appaltatore di riparargli gratuitamente i difetti riscontrati in un impianto di illuminazione, per la cui realizzazione le parti avevano concordato una mercede di fr. 13'024.90. Confrontato al rifiuto dell’appaltatore, il committente lo aveva poi convenuto in giudizio, chiedendone la con-danna al pagamento di un importo di fr. 46'695.55 pari alle asserite spese per il ripristino dei difetti.
Controversa era pertanto la questione a sapere se il committente disponesse, in effetti, di un diritto, indebitamente frustrato dall’appaltatore, alla riparazione gratuita dell’opere oppure se, in ragione delle ingenti spese derivanti da quest’ultima, l’appaltatore potesse legittimamente appellarsi all’eccezione prevista dall’art. 368 cpv. 2 CO.
L’Alta corte federale ha esordito richiamando la sua giurisprudenza secondo cui, per valutare l’asserita esorbitanza delle spese di riparazione va indagato – nell’ambito di una ponderazione costi-benefici, ovverosia dei contrapposti interessi in gioco – se sia in concreto ravvisabile una sproporzione tra le spese di riparazione preventivabili e i benefici che l’eliminazione del difetto procurerebbe al committente. Tali benefici, così il Tribunale federale, non devono peraltro rivestire carattere strettamente economico. Il giudice dispone quindi di un ampio margine di apprezzamento, limitato unicamente da criteri di equità.
Affinché l’appaltatore possa legittimamente rifiutare la riparazione gratuita dell’opera, è quindi sufficiente che il beneficio che ne deriverebbe al committente non sia tale da giustificare, in buona fede, i costi di riparazione presumibili. Dal punto di vista dell’appaltatore, per contro, la richiesta di riparazione avanzata dal committente deve risultare, messi sul piatto della bilancia i suoi personali interessi e raffrontati a quelli del committente, eccedente quanto ragionevolmente esigibile.
Fatta questa premessa, il Tribunale federale ha successivamente esaminato se, nel caso concreto, il delta particolarmente ampio tra le spese di riparazione e la mercede convenuta fosse di per sé sufficiente a, in via del tutto eccezionale, giustificare il rifiuto dell’appaltatore.
Nell’analisi il Tribunale ha dapprima rievocato la sua precedente giurisprudenza in materia, segnatamente:

a) la sola circostanza per cui le spese di riparazione sopravanzerebbero il prezzo concordato per l’esecuzione dell’opera non è sufficiente per caratterizzare le stesse di esorbitanti ai sensi dell’art. 368 cpv. 2 CO;

b) la sola relazione aritmetica tra spese di riparazione e mercede contrattuale non può, fatta eccezione per i casi estremi, risultare determinante. È ad esempio dato un caso estremo, laddove le spese di riparazione presumibili superano del doppio il prezzo previsto dell’opera.

In conclusione il Tribunale federale ha tutelato la decisione resa dall’autorità di giudizio inferiore la quale, sulla base di un mero raffronto aritmetico tra i costi di riparazione e quelli di realizzazione dell’opera, aveva dato ragione all’appaltatore. Tuttavia, il Tribunale federale ha specificato che tale – schematico – approccio non è generalizzabile, il beneficio che il committente potrebbe trarre dalla riparazione dell’opera dovendo rappresentare, di principio, il criterio di riferimento cardine ai fini della valutazione.
La sentenza riveste particolare rilevanza pratica tanto per l’appaltatore quanto per il committente e meglio per il seguente ordine di ragioni. L’appaltatore invitato a riparare un’opera difettosa potrà infatti di regola rifiutarne il ripristino, nel caso in cui i costi per procedere in tal senso superino del doppio quelli di realizzazione. Il committente, in siffatte circostanze, sarà per contro ben consigliato a indicare dettagliatamente i benefici che, nonostante l’eccezionalità del caso, comunque concorrerebbero a giustificare una riparazione gratuita dell’opera.

Avv. Michele Bernasconi

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